La terra del sole by
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Prima di partire posto qui una storia che ho da tempo e che sto aggiustando in questi giorni, siccome è abbastanza lunga la divido in capitoletti...
Si svolge nella terra del sole
una terra che ho amato
una terra difficile e bellissima....
La terra del soleBuio. Come se fosse notte. Buio. Come se fosse inverno. Buio. Come se fosse morto.
Forse la morte sembrerebbe una salvezza desiderata dal proprio corpo in catene, dai propri occhi che non possono vedere la luce, dalla propria bocca pietrificata dalla sete e dalla propria saliva che marmorea scende come una lama appuntita, attraverso un corpo immobile.
Ma la sua mente è viva, pensa, si stanca di capire e di chiedersi il motivo della prigionia forzata, delle risate dei suoi aguzzini, di quelle mani gelate, della puzza del proprio corpo e di quel poco cibo insipido e melmoso.
La benda sugli occhi diventa un'amica... almeno lo copre da quella vista, ma le orecchie sentono quelle voci maschili, sgraziate e pedanti, e vorrebbe tanto spegnerle, almeno la notte, per non sentire gli uccelli notturni e immaginarli liberi...
Riconosce gli accenti del posto e cerca di sentire qualche nome che potrebbe aiutare a riconoscere quelle persone, ma l'unico nome che sente è il suo.
<<alfredo...>>.
<<alfredo!>>.
<<alfredo>>.
E l'unica voce che non sente da giorni è sempre la sua. Non parla, non grida, non piange e si lascia morire di stenti.
Le sue mani sono attaccate da una corda e sente il bruciore sui polsi. Un'altra corda costringe le gambe, su, fino alle ginocchia, e la testa penzola avanti, indietro, ai lati... e non sa nemmeno come riesce a mantenerla e vorrebbe staccarla, morderla e tramortirla... ma quella testa pensa e indaga le parole di quegli uomini.
Ricorda solo frasi sconnesse: <<ora vediamo se quello stronzo non cambia idea!>>. <<siete sicuri che lascerà perdere l'operazione?>>. <<con il suo gioiello qui deve per forza darci ascolto...>> e la figura del padre gli compare negli occhi, la sua divisa da carabiniere e le sue indagini contro quella importante famiglia siciliana.
Le indagini.
L'isola.
La famiglia.
Il giusto nella mente di suo padre.
Quella era la colpa. Quello era il motivo, il significato, il perché di quella sofferenza inutile.
Sì, perché a 15 anni lo stare rinchiuso, incatenato in una stanza, bendato e senza cibo sembra una cosa inutile, e bisogna attribuire una colpa a qualcuno per rimanere vivi, per immaginare un futuro vicino fatto di urla contro quella persona, fatto di schiaffi e di ingiurie, che in una situazione come questa diventano lecite, giuste, come quella giustizia che l'ha portato lì, rapito del proprio volere, rapito e ingannato della propria libertà.
Ma Alfredo continua a vivere, a respirare, ad avere fame. Continua e l'unica cosa che gli rimane è immaginare, sognare ciò che aveva prima, ciò che magari gli sembrava inutile, ora, ora sì, è importante... come le litigate con la mamma, che sembrano solo un miraggio. Le controversie col suo migliore amico, che sembra un gioiello. I libri che ha lasciato a metà sulla sua scrivania, o le canzoni che non ha avuto il tempo di sentire perché si fissava con le prime 3 tracce del cd.
E continua ad avere paura, a tremare ad ogni singolo rumore sconosciuto e all'improvviso la porta si apre, dei passi silenziosi vanno verso di lui e il suono d'acciaio della sua scodella che sbatte per terra. E' ora di cena, ma potrebbe anche essere ora del pranzo. Non lo sa più. Ha perso il conto della sua stanchezza, delle sue dormite, dei suoi pasti e dei suoi bisogni.
Come un'animale si butta su quella ciotola, le sente ghiacciata e il cibo è sempre lo stesso... pastina con l'acqua. Pastina scotta con l'acqua tiepida e salata, che sembra cucinata con l'acqua del mare.
Del suo mare dove vorrebbe buttarsi per rinfrescarsi da quel calore appiccicoso o per ammazzarsi, finché è lui a deciderlo.
Ma in realtà lui non decide nulla, ne quando mangiare, ne quando avere fame, freddo, mal di testa o di tutto. Non è neanche lui che decide cosa fare del suo tempo vuoto o di quello che deve provare quando sente un rumore.
E quando finisce il cibo gli duole tutto, ha fame, ma il suo stomaco si è rattrappito dalla pochezza di ciò che gli danno da mangiare.
Allora si ferma ma con la mente continua a pensare, perché non vuole abbandonare tutto agli istinti, ma l'istinto fa sopravvivere, indietreggiare, strisciando per terra, sulla sua cacca o sulla sua urina, per allontanarsi da colui che è entrato da quella maledetta porta di ferro.
Ma Alfredo non parla, non vuole, non ne ha la forza, e sente una mano che gli trattiene una spalla. Lui si agita, si contorce, sente che c'è qualcosa di diverso, invece sente pronunciato il suo nome <<alfredo...>>, dolcemente, e in quel suono era contenuto un discorso di fiducia e di aiuto.
Un uomo allora lo prende in braccio e lo fa sedere su un materassino, che era presente nella stanza. Gli sistema i capelli che forse sono diventati olio grasso e con un fazzoletto di cotone profumato gli pulisce la bocca.
<<alfredo, non voglio farti del male. Ci siamo solo io e te qui. Ti ho portato da mangiare...>>.
Ma quel ragazzo si domanda il motivo, l'identità di quell'uomo e mugugna qualcosa.
<<non ho capito..>> dice l'altro.
<<p e r... c h è ?>>.....
<<perché con quello che ti danno da mangiare non vivrebbe manco una mosca..>> risponde, poggiando il cucchiaio nel piatto e prendendo il bicchiere con l'acqua.
<<infatti... io sono un verme, solo.. un verme per voi...>> sputa con un dolore allucinante delle corde vocali.
<<ora non sforzarti per dire queste scemenze...>>.
<<chi sei?>> domanda il giovane.
E la risposta arriva chiara. <<nessuno...>> e immediatamente dopo il tonfo della porta di ferro.
Edited by endless87 - 12/4/2010, 10:35